Storia del Comune

PRESENTAZIONE
 
Nel cuore della Sicilia
 ai piedi del monte Giurfo 
sorge Villarosa.
Terra di contadini e minatori,
di poeti e poesia.

 


 
"BELLARROSA"
 
 Dintra ‘na conca sutta ‘na muntagna,
‘ntra du ciumi, unu amaru e l’autru duci,
cc’è un paiseddu ccu li strati ‘n cruci
e tanticchia di virdi a la campagna;
‘ntra ripa e ripa la terra siccagna
di centu rarità frutti produci,
di jornu fumichia, di notti luci,
e ‘ntra li ‘nterni so’ chianci e si vagna.
Chista è la terra mia, lu me paisi,
lu nidu anticu di tutti li zanni,
liccu di canti e riccu di maisi.
Cci nasceru me patri e li me nanni,
e cci nascivu iu ch’era lu misi
di nuvemmru, ora fa li cinquantanni.


 (Da: "Bellarrosa Terra Amurusa" di Vincenzo De Simone)


 
“Villarosa”, piccolo centro dell’entroterra siciliano, anche se di giovane fondazione è protagonista di una remota e affascinante età storica che si identifica con la millenaria storia della Sicilia “Patria di Cerere” e vero suolo dell’abbondanza, cerniera di collegamento con il continente e piattaforma di transito e di approdo di idee, uomini e merci da sempre ambita tra gli antichi popoli.
Il suo territorio fu teatro di lotte fra varie baronie e in epoca ancor più remota, crogiuolo dove si sono fuse e alternate le più antiche civiltà greche, arabe, sicule e sicane la cui memoria si perde nella notte dei tempi e delle quali il passato splendore, riemerge attraverso i suoi punti di interesse archeologico, gli avanzi di antichità e le tradizioni da leggenda le cui suggestive maglie si  intrecciano con quelle della storia, conferendo ai luoghi del racconto un’aura magica e affascinante.
Qui vi attende un’interessante realtà culturale, storica, folkloristica; avrete modo di soddisfare le vostre curiosità gastronomiche con tradizionali piatti improntati su ricette semplici e, inoltre, avrete modo di conoscere i Villarosani e il senso di ospitalità che questa terra mostra verso chiunque voglia concedersi qualche giorno di riposo, lontano dal caos e dagli assordanti rumori di città.

 


 

CENNI STORICI
 
I versi del sonetto intitolato "Bellarrosa" di Vincenzo De Simone, descrivono gli aspetti geografici e storico-economici del suo paese natio.

L’attuale centro di Villarosa, sorge in terra di San Giacomo, ed il  suo territorio si colloca, topograficamente, nella regione dei monti Erei, circoscritti tra il fiume Salso o Imera Meridionale e il suo affluente Morello. Il centro urbano, situato ad un livello altimetrico di 523 m. s.l.m., presenta uno schema di impianto urbanistico perfettamente regolare, quadrangolare, realizzato secondo principi di ortogonalità con strade che si dispongono paralleli ai due assi viari principali: il Corso Garibaldi,  antica rotabile Palermo-Catania, con orientamento est-ovest e il  Corso Regina Margherita con orientamento Nord-sud. Sin dai primi dell’ottocento, due erano i tronchi viari principali che attraversavano il centro abitato: l’antica Rotabile detta “Consolare” e quella proveniente da Villapriolo, con orientamento nord-sud, che tagliava il centro abitato e nell’ area del vallone Mastro Silvestro divergeva poi secondo tre percorsi.
     La funzione originaria di queste strade era quella di consentire, nell’ambito stesso del territorio, un raccordo tra i vari Casali e il transito di derrate agricole e armenti verso le zone costiere, in particolare quelle meridionali dell’area agrigentina. Tale impianto urbanistico, sebbene sia caratterizzante per quei centri sorti soprattutto fra il  XIII e XVI secolo,  creati per volontà politica e in prossimità di confini da difendere, sembra trovare  a Villarosa un legame con questo principio di regolamentazione urbanistica. 
    L’attuale centro di Villarosa è di giovane fondazione risalente,infatti, al 1762, a quando Placido Notarbartolo-Zati, figlio di Francesco e Angela Zati  Denti, ottenne il 10 aprile dello stesso anno la “Licentia Populandi”, sovrano consenso che consentì al secondo Duca di Villarosa di erigere la nuova città, in principio con il nome di San Giacomo di Villarosa  finché in seguito prevalse solo Villarosa.
   Il paese ebbe un proprio insediamento in epoca medievale sotto Federico III d’Aragona con il nome di Casale di Bombunetto o Bombinetto, già attestato dal 15 febbraio del 1298, e menzionato anche nell’opera “I Capibrevi” di Giovanni Luca Barberi con il nome di “Bombonecte Feudum Bombunecte Muchulechi Lavanca de Madonna de Machauda Marcata” ubertoso per granaglie e per vini, situato nell’ambito geografico che prendeva il  nome di “Val di Noto”, a nord-est di Caltanissetta e a nord-ovest di Piazza Armerina. Per tutto il secolo XIV appartenne alla famiglia Petroso di Castrogiovanni; in seguito il figlio di Teobaldo Petroso, Manfredi vendette il feudo a Nicola D’Anzisa da Calascibetta il primo luglio del 1407, e nel 1453 il nipote di Manfredi fu reinvestito del Feudo e del Casale che mantenne il suo originario nome arabo-aragonese, e che aveva come emblema uno scudo portante una rosa in un campo azzurro, racchiuso in un ovale formato da due fasce di spighe di grano che attualmente è lo stemma del paese. Il Casale, nel 1693 fu distrutto da un terremoto che colpì tutta l’isola e dopo alterne vicende Placido Notarbartolo-Zati,  erigeva la nuova città riedificandola nei pressi del preesistente “Casale di Bombunetto”. Il sito si sviluppò nel medesimo luogo di quella contrada detta sant’Anna, che poi sino ad oggi verrà chiamata contrada Stanzie (o Stanze)-sant’Anna, dove esistono ancora il Palazzo Petroso – Salazar – Notarbartolo , e il rudere della chiesetta dedicata a Sant’Anna che veniva celebrata e festeggiata, con grande partecipazione di popolo e con un rito folclorico-religioso, il 26 Luglio. La  baronia di Bombinetto territorio della futura Villarosa che incorporava i feudi S. Anna, Magobeci, Manca di Magaudo, san Francesco in mano al barone Giuseppe Petroso e Salazar di Castrogiovanni, sin dal 1674 fu acquistata da Francesco Notarbartolo appartenente ad un ramo cadetto dei Notarbartolo baroni di Vallelunga e artefice, dunque,  della futura fondazione e della crescita economica della propria famiglia. Le terre furono ereditate dal nipote di quest’ultimo, Francesco Notarbartolo Giacchetto, figlio di Placido l’11 ottobre 1706, e così la zona dell’antico latifondo entrerà a far parte dei più ampi processi produttivi cerealicoli, già iniziati nella Sicilia spagnola cinquecentesca, consentendo alla Famiglia Notarbartolo di vivere la loro fortunata ascesa economico-sociale, tra la nobiltà di Castrogiovanni insieme ai Petroso, ai Giacchetto, ai Leto e ai Grimaldi.
     Villarosa, pertanto, fiorì e si collocò nella parte centrale della Sicilia, in una vallata racchiusa dai monti circoscritti tra il fiume Salso e il suo affluente Morello, al termine del pendio nord del monte Marcasita tra la collina detta di sant’Anna ad est e quella detta del calvario nel torrente Vanello a Nord.
Ostilità, conflitti e cause giudiziarie, seguirono tra Castrogiovanni e la famiglia dei Notarbartolo, preoccupata di difendere i privilegi feudali e il suo ingente patrimonio fondiario, che agli inizi del ‘700 si estendeva dal fiume Salso, verso Castrogiovanni ad est; un territorio di non facile accesso, disabitato, caratterizzato dalla presenza dei latifondi e dall’allevamento.
Villarosa, appare per la prima volta con il nome di “Casale S. Giacomo Ville Roce”, nel memoriale del 20/06/1731 di Francesco Notarbartolo al viceré, scritto in spagnolo. Il termine, secondo il Prof. L. Di Franco, autore dell’ instancabile lavoro “Villarosa prima dello zolfo 1731-1825”, deriva dallo spagnolo “Villar” (villaggio) e “Roce” (di tratto familiare), dunque “Villaggio di Famiglia”; questo il motivo per cui, all’antico Casale di “Bumbunectum “ quello della “Baronia di Bombunettu”, il feudatario aggiungerà ora “San Giacomo Ville Roce”, conformemente al nome del santo protettore dei “Notarbartolo”. Con questa intitolazione  i Notarbartolo vogliono quasi attestarne l’autonomia e la piena potestà,  acquisita da parte della loro nobile famiglia. Si forma così come attestato dallo “Statuto Feudale dei Notarbartolo” il primo nome della nuova terra:-«Casale San Giacomo Ville Roce, de y nombrar conforme al santo protector de nuestra famiglia».
Nel 1766 i lotti di terra, costituenti il feudo di Villarosa della famiglia Notarbartolo, furono concessi a censo dal duca dello “Stato Feudale”.
Da un punto di vista etimologico, il termine “Villarosa” secondo il Dizionario Etimologico Italiano “Caracausi”, deriva nella prima parte dal latino “villa”, nel significato di casa di campagna, podere; nel significato medievale, invece, di piccolo centro rurale. Studi di toponomastica informano che, il toponimo Villarosa, nella seconda parte “Rosa” sembra derivare da “ros’à” (come erosione) e indicare luogo di sfaldamento calanchivo.
In conclusione, la fondazione di Villarosa si inserisce in un più ampio processo di crescita economica e sociale che si determinò nelle aree territoriali siciliane nella prima metà dell’ottocento, favorendo la nascita di una ristretta élite borghese e di diverse attività artigianali quali le canapaie, i saponifici, i cordari, oltre alle masserie di agricoltori e allevatori ai quali si aggiunsero gli zolfatari e i carrettieri, quando tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento ebbe inizio l’attività estrattiva e la nascita delle miniere.
Il Comune, inizialmente basato sull’agricoltura e sull’artigianato, subì un risvolto positivo in campo  economico che gli consentì di affermarsi sino alla metà del 1900 unicamente come centro minerario. Oggi delle miniere solamente un ricordo.

 
 

STORIA ANTICA
 

 
   
 
Nei pressi di Villarosa, sul monte Giurfo e precisamente nella sua conca interna detta Respiga, si insediarono antichi abitatori, verosimilmente greco-siculi o sicani.
Questi, sfruttarono l’ubertosità del luogo  spogliandolo di ogni cosa e modificandone, nel tempo, l’esimia perfezione e bellezza.
 
 
 
Il luogo appare come un alveare, ed è possibile scorgervi incavate nelle rocce tombe all’interno delle quali nel corso dell’ottocento, come informano le fonti letterarie, sono stati rinvenuti vasi, anfore, monete con l’effige di Cerere e statuette greco-siciliote dell’VIII secolo a.C. In questo luogo sembra esservi esistita nell’antichità una città durata più secoli e grandemente popolata, che secondo gli eruditi locali si sarebbe chiamata “Pizarolus”, colonizzata prima dai greci e successivamente distrutta dai Cartaginesi; una città che nel meglio della sua floridezza era abitata da 40.000 uomini. Oggi l’area, interessata da recenti indagini archeologiche, ha restituito resti di una fortificazione ad aggere, resti murari, strutture e frammenti ceramici; un record archeologico proveniente sia dal pianoro sulla sommità del monte, dove è stato riportato in luce un edificio ad ambienti plurimi, che dalle sue estreme propaggini sud-orientali. 
Respiga, contrada che conserva ancora oggi tale nome, è un luogo dove storia e fantasia si intrecciano e suggeriscono alle più fervide menti trame che possono essere considerate delle vere e proprie favole da raccontare, per le quali ci si interroga sulla remota possibile esistenza di quelle civiltà che oggi sono sommerse nell’oblio ma, che potrebbero essere la chiave per comprendere la lacunosa storia antica di Villarosa e le radici dalle quali “ESSA”, probabilmente germogliò.

A tal proposito in paese vi è una leggenda curiosissima tramandatasi nel tempo, dalla quale se ne conviene che in quella zona, verosimilmente, esistette una città che poi fu distrutta e la memoria della quale sia stata tramandata sino a noi.

C’era una volta un re che viveva in una città posta sulla sommità del monte, ai piedi del quale la fertile vallata assicurava il benessere del popolo. Tale serenità era minacciata dal vicino nemico re- Porco, temendo il quale re Spica, ordinò ai suoi uomini di fare un incavo nella viva roccia per nascondervi tutto il suo tesoro che, secondo la leggenda, dopo molti secoli fu ritrovato da due compagni di caccia venuti da Calascibetta. I due furono felici per l’inattesa ricchezza, ma per la troppa cupidigia entrambi morirono avvelenati dalle loro stesse vivande; le stesse, che erano destinate a sfamarli. Le  mule  che dovevano servire per trasportare l’oro, presero la via del ritorno per la montata di Calascibetta e ad alta notte giunsero alla stalla di colui che gliele aveva prestate. Questi sentendo arrivare le bestie e vedendole senza guida si insospettì,  e volle vedere che cosa portassero. Visto il tesoro se né appropriò e divenne l’uomo più ricco del momento. La grotta prese il nome del fortunato possessore e si chiamò, pertanto a “Grutta D’Anzisa”.
 
I contorni della leggenda rasentano quelli della storia in quanto durante la prima metà del XV secolo il feudo del “Casale di Bombunetto, nei pressi del quale fu in seguito riedificata la nuova città “San Giacomo di Villarosa”, fu venduto ad un ricco possidente di Calascibetta che si chiamava “Nicola D’Anzisa”.
Anche il poeta locale Vincenzo De Simone, nella sua opera “Cantalanotti”, ricorda l’esistenza di questa grotta con una poesia.
 
La Grutta D’Anzisi
 
Vinni di notti a la grutta d’Anzisi,
unni ci stanu li maghi dulusi;
dissi- «Zzì strij, m’hanu datu abbisi
ca mi turciti ‘ntra cèntura fusi».
Dissi la vecchia:- «Ti dugnu ‘mpalisi
ca ccu li ‘llocchi nun facimu abbusi
Nun semu nui li donni a sti putisi,
è la to bedda ca ti cusi e scusi».

(da: Cantalanotti – V. De Simone)


 

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